06/06/2006  Il fenomeno della desertificazione

Il 5 giugno 2006 si è tenuta ad Algeri la Giornata mondiale dell'Ambiente, idea nata nei primi anni 70, quando le Nazioni Unite si posero il problema di aumentare la coscienza mondiale in materia, in occasione della Conferenza di Stoccolma sull'Ambiente umano (1972) dove veniva creata l'Unep (Programma ambientale dell'Onu). Tale ricorrenza, giunta alla 33esima edizione, quest'anno proponeva come tema di riflessione l'avanzamento dei deserti (già introdotto nel 1984) e ben rappresentato dal motto coniato per l'occasione dal Segretario dell'Onu, Kofi Annan :"non desertifichiamo le terre aride". Non a caso , come paese ospite è stato scelta l'Algeria che risulta essere una delle maggiori vittime del fenomeno che interessa non solo le terre tradizionalmente aride ma ormai quasi il 40 % dell'intera superficie terrestre. Per meglio comprendere la portata del fenomeno basti pensare che circa 100 Paesi e 250 milioni di prsone sono direttamente interessati al degrado dei suoli nelle regioni aride e si stima che circa 12 milioni di ettari all'anno vengano sottratti alle coltivazioni alimentari. Il dato nuovo ed allo stesso tempo allarmante è che se l'inaridimento dei suoli mantiene il suo culmine nel continente Africano, per il quale circa il 66% della sua superficie è interssata dal fenomeno, il Nord del pianeta presenta alcune situazioni che vanno ad aggravarsi di anno in anno. L'Ufficio per la gestione del territorio Usa considera vunerabile il 40 % del territorio continentale degli States, ma anche l'Europa meridionale e in particolare la Spagna ne sono sempre più vittime. Nel territorio italiano il fenomeno interessa 16100 chilometri quadrati (il 5,35 % della superficie totale). Come sappiamo da tempo le regioni del Sud del paese sono quelle più a rischio con il 36,6 % della Sicilia, il 18,9 % della Puglia e il 10,8 % della Sardegna direttamente minacciato dalla desertificazione. Mentre ad Algeri si sta ragionando di deserticazione e di come cercare di arrestare il deserto del Sahara, che ogni anno guadagna terreno, dovremmo anche noi in Italia cominciare a considerare quali soluzioni adottare per fronteggiare il cambiamento climatico che ormai è inarrestabile e tangibile anche nel nostro Paese. Il cambiamento del clima è evidenziato dalla "radicalizzazione " dei fenomeni atmosferici. Le lunghe pioggie autunnali tipiche del clima italiano di trenta anni orsono sono state soppiantate da temporali violenti e vere e proprie tempeste che non premettono all'acqua di penetrare in profindità e la costringomo a scorrere veloce nei fiumi e nei torrenti creando un'incremento esponeziale del rischio idrogeologico. Le falde acquifere scendono sempre più in profondità e la scarsità d'acqua nei maggiori fiumi italiani durante la stagione irrigua, costringe i gestori della risorsa a veri e propri miracoli per non provocare ingenti danni all'agricoltura del nostro Paese. Il cambiamento del clima italiano impone una rivisitazione del nostro modo di pensare non solo cercando di ridurre le emissioni di anidride carbonica. Su questo punto vogliamo essere chiari: non sono solo le emissioni di CO2 il male oscuro, anche se il contributo umano nell'accrescere il fenomeno dell'effetto serra è notevole, ma a nostro avviso è più corretto considerare una serie di forze fisiche naturali, generate dal pianeta stesso in quanto corpo celeste in continua evoluzione, che sono parte integrante del processo evolutivo del pianeta e che quindi non siamo in grado di modificare. Possiamo però, grazie all'ottimo livello raggiunto dalle strumentazioni metereologiche e dai modelli previsionali, monitorare tali cambiamenti climatici e in alcuni casi abbozzare previsioni. Si tratta quindi di individuare una serie di rimedi, opere strutturali e non, politiche ambientali mirate, che ci permettano di adattare al meglio la nostra vita ai cambiamenti del pianeta. In Italia, ad esempio servirà uno sfruttamento più intelligente dell'acqua per preservare la falda che si esaurisce e per difendere al tempo stesso i fiumi, le colture agricole e la produzione idroelettrica. Ciò è possibile solamente con la collaborazione sinergica dei vari soggetti in causa (Consorzi, agricoltori e gestori delle centrali idroelettriche) in un'ottica volta alla salvaguardia del bene comune anche a discapito dei singoli interessi di settore.

 

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